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Saturday, January 12, 2008

Cose che solo in Italia (2)

Aggiorno l'elenco delle cose che solo in Italia (cioè che davvero non si trovano altrove, vedi due post fa), aggiungendo i suggerimenti ricevuti. Chi vuole può ancora aggiungere nei commenti.

- L'odore di cucina - stufato, arrosto con patate - che si propaga per la tromba delle scale uscendo di casa...che ogni volta il gioco è indovinare da dove viene...e controllare i succhi gastrici

- I giornali: il mio amatissimo Manifesto, ma anche Internazionale

- Le librerie in cui perdersi

- Il suono delle campane

- La possibilita' di andare a piedi dappertutto

- Un senso dell'umorismo un po' sciocco ma affettuoso

- Poter incontrare gli amici per un caffe' o uno spritz senza dover controllare l'agendina

- La spesa al mercato, con la frutta e la verdura di stagione (a Pittsburgh un qualcosa del genere c'era, per la verità)

- La facilità di raggiungere il mare e la montagna

- I borghi delle città, un po' dappertutto in Italia

- L'arte di arrangiarsi tutta nostra

- Capitolo cibo: Il pane - il pane che c'è qui (e non quello toscano, per quanto non mi discpiaccia, ma il pane qualsiasi, da quello normale casereccio a quello cotto a legna); le friselle; la pizza buona; la mozzarella di bufala

...e poi, da più parti, gli amici, gli amici italiani a cui vogliamo tanto bene ma che - confermo in pieno! - a comunicare col mezzo "tecnologico" (ormai fa quasi ridere, riferendosi alla rete), sono veramente restii o negati, brutti stronzi!!! Svegliaaaaaaaaaaa!

Sunday, December 16, 2007

Cose che solo in Italia

Mamma mia che goduria...valeva la pena sì, tornare! In circa 12 ore ho visto ben due volte il mio amico FB, per alcuni amici Francesco, per altri Beltra. Quello del blog Geometriaetica. Forse non era mai successo, a Firenze, giusto quella volta che siamo andati in vacanza - e che vacanza - insieme. Comunque, mi ha fatto venir voglia di scrivere quissopra!

Una cosa che pensavo già da un po' di giorni. Tanti mi chiedono cosa mi sia mancato di più del'Italia...e qualcuno ha pure la risposta bell'e pronta, tipo, il cibo! Invece no, per esempio il cibo in generale non troppo...al mitico Maccaroni Pennsylvania, meta del fine settimana per tutti gli Europei di Pittsburgh, si trova tutta roba importata, e a buon prezzo. Per cui, se ti cucini da te, nessun problema. Semmai il ristorante italiano è un altro discorso...

Comunque, distrattamente mi sono accorto di alcune cose che veramente mi mancano dell'Italia, e che mi sa neppure in altri Paesi del Mediterraneo ce l'hanno. Visto che sto per emigrare di nuovo, potrebbe essere una non salutare operazione nostalgia. Ma se avete suggerimenti, voi lettori casuali che vi siete imbattuti in questo vecchi blog ormai malandato, lasciate pure traccia!
Le prime cose di cui mi sono accorto sono:

- Il pane - il pane che c'è qui (e non quello toscano, per quanto non mi discpiaccia, ma il pane qualsiasi, da quello normale casereccio a quello cotto a legna)

- L'odore di cucina - stufato, arrosto con patate - che si propaga per la tromba delle scale uscendo di casa...che ogni volta il gioco è indovinare da dove viene...e controllare i succhi gastrici

- I giornali: il mio amatissimo Manifesto, ma anche Internazionale

Andrò aggiornando anch'io...

Thursday, November 22, 2007

The wall - open letter to Pittsburgh friends

Dear friends / Pittsburgh family,

For the pictures and all the nicest written thoughts I got from you my during last days there and before, I'll need a wall, to hang them all and have them in my eyes every morning. I still don't have that wall, since, as you know, I'm not sure where I'll be next.

But, more important, I'd need a wall to spread on it all the images of your faces I saved in my mind in all this time, either smiling, laughing or seriously engaged in some conversations or activities. I would also sketch on it the intense moments and experiences I had with each of you, to show everybody else. Again, the wall is not there yet, maybe is waiting somewhere, probably has still to be built.

So I'll have to keep all this inside, for the moment. I know I'll have a hard time trying to express the life I had in Pittsburgh beyond the mere events. As we agreed many times, Pittsburgh grows on you. I want to think it's because of the steelworkers past, so full of real life, which melted into the dynamic cultural activity around Universities, now mixing together many different people.

I'm sure that new exciting things are coming for everybody, but I'll miss this city and YINZ all.
In any case we'll meet again soon, this is certainly just the beginning: as we say, this is not an "addio", but only an "arrivedereci".
I'm not sure somebody said this before, but definitely "Ich bin ein Pittsburgher!".

A hug,
Marco

PS I turned a little bit sentimental during the last days there, so I hope you can forgive me if I went too far.

Sunday, September 23, 2007

In Pittsburgh again

Well, I'm here again. Da ormai venti giorni, per un breve periodo ancora. Ho cambiato di nuovo casa, e ora subaffitto da Julien, un amico di Nantes che gia' conoscevo dallo scorso anno. La casa e' un appartamento in un lotto di edifici tutti uguali, un tempo di lavoratori del settore delle acciaierie. Era la zona in cui si erano stabiliti i migranti russi, detta appunto Russian hill.

Gran parte della famiglia dell'anno scorso se n'è tornata in Europa: Sandra, Anna, Josep (Catalunya), Ravinder (UK) i Vincent (France) hanno lasciato Pittsburgh. Altri sono rimasti (Marta, Pierre, Ana, Felix), altri amici sono ormai stanziali, per loro fortuna o sfortuna: tra questi Piero e Jitka, MaryRose e Laird. Un piccolo nucleo, a cui si aggiunge gente nuova, incontri ormai inaspettati e piacevoli. Ormai mi sento un po' caduco, con un piede qui e uno nella vecchia Europa, ma per il poco tempo che rimane resto attaccato alla vita del Burgh, forse più di prima, visto che già da tempo qualche radice che mi lega a questo luogo è spuntata.

Insomma, solo un breve aggiornamento, anche per chi, come gli amici Beltra o Alessio, non si sono rassegnati alla morte del blog. Ma è solo un passaggio fugace, almeno per adesso. Ero curioso di provare, in particolare, se ancora ricordavo la password, e se dopo tanto tempo il sito mi avrebbe lasciato entrare. Mi sono fatto prendere un po' la mano. La verità è che ogni tanto ci penso...questo potrei postarlo sul blog. Pero' le cose da fare ormai si accumulano, e non trovo l'energia sufficiente. Per cui credo che per ora resterà una una piccola fessura nel sipario calato, senza strappi di hitchcockiana memoria. Saluti.

Thursday, June 14, 2007

Epilogo: Gaza, guigno 2007

Ci sono cose su cui non è possibile mantenere silenzio e proseguire la meditazione. Alla fine anche Repubblica fa un bilancio su gli ultimi quarant'anni di storia palestinese...si vedeva da lontano, probabilmente adesso è troppo tardi. E' molto doloroso. Di seguito l'articolo di Viola (anche linkato); ovviamente non sono d'accordo con la terz'ultima e pen'ultima riga (d'altra parte Repubblica è un giornale di governo, e ci è arrivato e ci rimane seguendo questa linea).
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ESTERI:
GAZA, LA FOLLIA DEI PALESTINESI E QUARANT'ANNI DI OCCUPAZIONE MILITARE
di SANDRO VIOLA

Mahmud Abbas, il presidente dell'Autorità palestinese, ha ragione: quel che sta accadendo a Gaza è "una follia". Una guerra civile che invece di coinvolgere, come sempre nelle guerre civili, classi sociali diverse, interessi economici in conflitto, ha spinto nel precipizio una stessa massa di pezzenti impazziti. Gli uni e gli altri, quelli di Fatah e quelli di Hamas, senza lavoro da anni, tenuti in vita dagli aiuti alimentari dell'Onu, con montagne d'immondizie e minacce d'epidemie sulla porta di casa, una gran parte senza acqua né luce.

Una massa di disperati che si contendono il potere in un paesaggio di tremenda miseria. In quell'anus mundi che è oggi la Striscia di Gaza. Lo s'era detto giorni fa, e vale la pena di ripeterlo. I palestinesi appaiono incorreggibili. Invece di proporsi verso Israele e la comunità internazionale come interlocutori credibili in un negoziato di pace, essi forniscono pretesti e ragioni a quella parte della società israeliana che non vuole trattative, compromessi, accordi, sostenendo appunto che sul versante palestinese "non c'è nessuno con cui negoziare". E quindi sono loro, i dirigenti e i seguaci di Fatah e di Hamas, i responsabili dei combattimenti di strada in corso da giorni, delle vittime, del caos che stanno sconvolgendo Gaza.

Loro i responsabili di quella che sembra ormai la vera e più drammatica conseguenza dello scontro: il disfacimento dell'Autorità palestinese. Il vuoto politico, l'anarchia forse senza scampo in cui versano ormai i territori della Palestina occupati quarant'anni fa da Israele.

Tutta colpa dell'Islam radicale portato in Palestina da Hamas, e quindi delle divisioni innescate nella società palestinese (un tempo la porzione più laica del mondo arabo) dall'irrompere del fanatismo religioso? No, solo in parte. Ci sono altre colpe, altre responsabilità che hanno condotto alla formazione del contesto sociale e politico in cui oggi vediamo divampare un inizio di guerra civile. Questo è il punto da mettere in luce: il contesto, il quadro in cui sono giunti al punto d'esplosione le rivalità, la rabbia intestina, "la follia" dei palestinesi.

Ricostruire fase per fase, episodio per episodio, il formarsi del contesto da cui sono scaturiti i combattimenti di Gaza, sarebbe lungo.
Bisognerà quindi limitarsi ad elencare le tappe, i fatti principali. Intanto l'occupazione. Che cosa hanno prodotto nelle menti, nell'animo dei palestinesi, quattro decenni di occupazione militare israeliana? Quarant'anni di terre espropriate, di acque deviate verso le piscine delle colonie ebraiche, di ulivi dei contadini palestinesi tagliati alla base durante i raid dei coloni più estremisti, di rappresaglie devastanti, di code interminabili ai posti di blocco dell'esercito.

È mai stata fatta giustizia, da parte israeliana, dei soprusi dei coloni, delle inutili violenze dell'esercito ai posti di blocco, delle partorienti che rischiavano di partorire per strada e sotto il sole a picco, delle tre ore e più che uno studente impiegava per superare il reticolo dei check point e raggiungere la sua scuola o università a pochi chilometri da casa? È mai stata chiesta giustizia dalla comunità internazionale per gli "omicidi mirati" che l'esercito e l'aviazione d'Israele compiono da anni, vere ed proprie condanne a morte senza l'ombra di un'istruttoria o d'un processo? Sì, quella palestinese è una follia: e un episodio di ieri - due donne, di cui una incinta, che cercavano d'entrare in Israele cariche d'esplosivo per farsi saltare in un posto affollato - costituisce un dettaglio significativo della caduta della ragione nel mondo palestinese.

Ma un'occhiata al "contesto" per vedere se da esso siano venute alcune delle cause di tale follia, alcuni degli stimoli al suo scatenamento, è doverosa. È doveroso chiedersi quale altro popolo avrebbe sopportato senza perdere la ragione i quarant'anni che hanno vissuto i palestinesi. È vero: sono stati loro, con i loro kamikaze, ad imprimere una delle svolte più tragiche e bestiali al conflitto che li oppone ad Israele. Ma anche qui il "contesto" suggerisce qualcosa che va tenuto a mente.

I kamikaze di Hamas sono comparsi nel 2001, trentaquattro anni dopo l'inizio dell'occupazione. Non c'erano kamikaze, prima. Quanto ad Hamas, chi conosce le vicende della Palestina occupata sa bene quanta parte abbiano avuto gli israeliani nell'insediamento degli islamisti a Gaza e in Cisgiordania. Come nella seconda metà degli Ottanta fossero visti, da Ariel Sharon in particolare, quali utili contendenti dell'Olp di Arafat. Come ne vennero favorite la crescita e le attività, così da produrre due risultati: uno certo, l'indebolimento dell'Olp, e un altro auspicabile, lo scontro interno tra le due fazioni. Non c'è dubbio: oggi hanno ragione gli israeliani che sostengono l'assenza di interlocutori affidabili sul versante palestinese. Con chi si dovrebbe negoziare: con le bande armate di Hamas, con quelle della Jihad islamica, con i resti delle forze fedeli a Mahmud Abbas? No, con questi, a questo punto, non è possibile trattare.

Ma il "contesto" ci serve anche a vedere come siano stati bruciati da Israele quelli che forse avrebbero potuto essere gli interlocutori affidabili. Arafat prima, screditato, ridicolizzato dall'assedio posto da Sharon, per un anno e mezzo, al suo quartier generale di Ramallah, mentre Hamas convinceva i palestinesi che l'unica via d'uscita dall'occupazione fossero gli attentati e l'intransigenza verso "l'entità sionista". E poi Mahmud Abbas, bruciato anch'egli da Sharon al momento del ritiro da Gaza. Ritiro unilaterale, senza che Abbas vi avesse alcun ruolo, senza che vi fosse una sia pure simbolica consegna della Striscia all'Autorità palestinese. Forse l'atto più rilevante per la vittoria di Hamas alle elezioni palestinesi del marzo 2006.

E in ultimo sarà bene non dimenticare la sospensione degli aiuti e dei finanziamenti all'Autorità palestinese, decretati dagli Stati Uniti e dall'Unione europea dopo la formazione del primo governo Hamas, e in larga parte ancora mantenuta nei confronti del governo di unità nazionale Hamas-Fatah. Certo, sembrò giusto tagliare i fondi ad un'organizzazione come Hamas, che non ha mai rinunciato al terrorismo e non intende riconoscere Israele. Ma oggi bisogna forse parlare d'un errore. La povertà a Gaza è aumentata, la disperazione ha spento gli ultimi barlumi di ragione, e questo ha certamente avuto un peso nell'innesco dello scontro intestino.

Ecco, il "contesto" non va dimenticato. Quando si critica la politica dei governi israeliani, bisogna sempre tenere presente che Israele è l'unico Stato di cui una parte del mondo discute ancora sulla sua legittimità, sui suoi confini, e anzi contesta l'una e gli altri. Questo induce a giustificare, volta per volta, anche gli errori più gravi della politica israeliana. Ma d'altra parte, come ignorare che sono stati anche quegli errori a produrre "la follia" palestinese?

(14 giugno 2007)

Tuesday, May 01, 2007

Rotta verso Seattle, WA

Hello folks,

Domani me ne volo a Seattle, patria del "movimento no-global", del grunge (casa dei mitici Pearl Jam) e, meno nobile, location della serie "Gray's Anatomy".
Un pomeriggio di turismo e due giorni e mezzo di congresso.

Sono piuttosto curioso, ho sentito che la citta' e' bella e l'atmosfera molto liberal e rilassata, come mi immaginavo. L'unica seccatura e' che sono 8 ore di viaggio, visto che e' sulla west coast (3 ore di fuso orario), e da Pittsburgh non ci sono voli diretti. Facevo prima a tornare nella vecchia Europa...

Comunque, se qualcuno di voi c'e' stato e ha qualche consiglio, si faccia avanti! Grazie.
Vi daro' mie notizie.

Friday, April 27, 2007

Il cerchio comincia a chiudersi

Questo fine settimana si conclude il semestre, e, con esso, l'anno accademico. Ci sono stati gli esami, ora spazio solo alle celebrazioni per chi si "gradua" o si "dottora". Il campus è frenetico, gli studenti si muovono in giro con bassi cestini dotati di ruote per svuotare i propri appartamenti, e sembrano tanti, felici, "busy bees". Da lunedì i prati rimarranno vuoti, attraversati da qualche faculty che si sposta per una riunione. Finalmente si potrà sedere, sul bus, per leggere comodamente, invece che farlo avvinghiati a un palo, in equilibrio con tre persone.

Sarà come quel Maggio del 2006, quando scoprii questa città che mi apparve deserta, e brutta. Ricordo quegli stessi carrelli che scorrazzavano allo stesso modo alla mia seconda visita, a fine Agosto, per popolare i campus e dare un volto alla città. Da allora molte scoperte, posti insospettabilmente gradevoli, e soprattutto persone, che sono l'essenza dell'esistenza, dovunque si viva.

Wednesday, April 25, 2007

Il paradosso di Achille...

La tartaruga che sto accudendo è depressa. Sono 4 giorni che non mangia, se ne sta immobile muovendo solo la testa dentro e fuori dall'acqua...l'unico moto che osservo è lo spavento che le fa ritrarre la testa nel guscio. Credo che senta la mancanza dei legittimi proprietari, o semplicemente non sa l'italiano, come dicono loro. Insomma, il povero essere imprigionato in un acquario è più sensibile di quanto si creda. Chissà se risponde alla Sertralina...ma magari le toglie l'appetito ancor di più! Speriamo che resista.

Wednesday, April 18, 2007

Corollario(i) - qui è un casino, Kitt!

...segue dal post precedente, chi non lo avesse fatto lo legga e resterà di stucco.

Primo: nel lettore della macchina ci ho trovato pure un CD non rigato di Leonard Cohen ...quindi ho tutto il diritto di chiamarla davvero supercar, o la fantastica macchina di plastica.

Secondo: ma Michael Knight aveva una vita sentimentale, o almeno sessuale? Si limitava a flirtare con Bonnie, ma poi aveva una storia con Devon Miles? O era talmente frustrato che ha dovuto fare Baywatch per rifarsi, e per ristrutturarsi la reputazione? Certo, il passaggio di consegne tra i due ruoli di Hasselhoff, il puritano Michael e il libertino Mitch Buchannan, la dice tutta sulla deriva della morale. Mi sorprendo che Giuseppe e Tarcisio non abbiano ancora espresso la loro opinione in merito.

Sul tema, poi, potrei andare avanti all'infinito: tipo, ho appena scoperto che Baywatch è stata la serie più vista in TV in tutto il mondo, che David Hasselhoff sta preparando il ritorno di Knight Rider per il 2008 (vediamo se riesco a rifilargli Kitt per 500 dollari) e che è un cantante famosissimo in Germania, dove ha tenuto un concerto nell'89, per la caduta del muro, con 500mila spettatori (fossi Papa io questo mi preoccuperebbe molto, ma molto di più).

Ora basta, vo a letto.

Tuesday, April 17, 2007

Ce l'ho io!

Qualche giorno fa è apparsa sui giornali la notizia che sono stati messi in vendita i quattro esemplari usati per la serie TV Knight Rider - conosciuta in Italia come Supercar e in Spagna come El cotxe fantastico- (cliccare per credere).
Quella serie è stata un pezzo della mia infanzia, e non ho potuto resistere. Si, è vero, grazie alle mie amicizie e a un po' di fortuna uno dei quattro Kitt è mio...
Invidiosi, eh? E non pensate che sia una volgare imitazione completamente in plastica, magari prodotta dalla Saturn. Cammina davvero...come si dice, "je manca solo 'a parola!", che poi la voce di Kitt era "un'ottava sopra il rutto".

Tutto questo in cambio di qualche ora di turtle-sitting: in sostanza ogni due giorni devo andare ad alimentare la tartaruga di David Hasselhoff, in arte Michael Knight (che nella foto in alto dice proprio: Marco, lo voglio dare a te questo catorcio!). Tutto vero! Mi voleva lasciare da accudire anche un dalmata di 60 chili, ma mi sono fermamente opposto.

Ora devo andare..."vieni a prendermi, Kitt!".

Sunday, March 25, 2007

Appunti sulle proteste al quarto anniversario, 3° e ultima parte

a Pittsburgh, 24 Marzo. Si è toccato l'apice!

Solo questo...una band di strada (tipo i fiorentini "fiati sprecati") suonava e cantava una versione americana di Bella ciao, con un testo distorto che poco aveva a che fare.

Mi sono ritrovato a cantare, da solo, la versione orginale al megafono, camminando su Craig south, e hanno preteso il bis tra Fifth e Bouquet street.

Un successo di pubblico e critica, chissà se anche qualche agenzia federale avrà preso nota.

Tuesday, March 20, 2007

Appunti sulle proteste al quarto anniversario, 2° parte

la marcia al Pentagono.

Metti un italiano, quattro catalani, due francesi e un olandese a Washington, un sabato mattina in cui il vento tagliente ancora spazza le strade. Metti un giorno di Marzo, a 4 anni dall’inizio della guerra in Iraq e a 40 da quella in Vietnam.

Camminiamo da Capitol Hill lungo quella striscia di terra che si estende fino e oltre l’obelisco del Washington memorial, paralleli alla Reflecting pool, il lungo specchio d’acqua che ha riflesso alcuni momenti della storia recente. Avvicinandoci al punto di ritrovo, tra Constitution avenue e la 22ma, ci troviamo stretti in un imbuto umano fatto di due ali di energumeni vestiti parte in divisa militare parte in tenuta di pelle da motociclista, con baffi a caduta inclusi. Il passaggio si restringe, e nelle orecchie cominciano a penetrare parole, USA, Jihad e molte altre, sempre più confuse, fino a che decidiamo di sfondare di lato e uscire dalla gabbia.

La contro-manifestazione dei veterani e dei falchi fiancheggia per quasi tutto il percorso, dal Lincoln memorial fino al ponte sul fiume Potomac. Tra i due fronti, poliziotti a cavallo. Traditori, terroristi, se non vi piace andatevene dagli US, la pace attraverso la forza, questi alcuni slogan nei cartelli e dalle gole dei contro-manifestanti. Qualcuno fa il gesto di sparare con una pistola di tre dita su noi manifestanti. Le bandiere americane sventolano con orgoglio fuori, in questa ala inquietante che costeggia il corteo, ma anche dentro, dove sta l’altra metà dei veterani, quella contro la guerra. E paradossalmente, a un certo punto un grido all’unisono si leva da tutti e due i gruppi, tuonando “U-S-A, U-S-A”, come a rivendicare l’orgoglio di questo Paese in cui tutto sembra iniziare e finire.

Dopo il fiume, il corteo si distende vicino al cimitero dei veterani, Arlington, e fino alla spianata davanti al Pentagono, dove pochi solitari tentano di sfondare il posto di blocco, mentre la maggior parte si divide tra il comizio principale e alcuni monologhi sparsi. La piccola moltitudine di circa 10000 persone ha sfidato il freddo durante la marcia, ma poco sopporta il freddo e le parole dei congressmen dal palco, e si disperde rapidamente.

Pure il gruppo dei coriacei europei si ritira verso l’ostello della gioventù, dove il giovane disobbediente Geoffrey non è stato arrestato per la 23ma volta. La sera, ci facciamo guidare da un volontario dell’ostello dentro la “diversità” del quartiere del giorno prima, Adams Morgan, storico nucleo di integrazione raziale sperimentale a W. Ma, prima di partire, giro di presentazioni: più di metà del gruppo, cioè noi, è a W per via della marcia. La guida è sorpresa della nostra giovane età rispetto alla media delle manifestazioni nella capitale, in gran parte vecchi hippies senza ricambio generazionale. Poi gli scappa, candidamente:”Allora meglio che non vi dica chi ho votato”. Certo che come no-global pacifisti incazzati non facciamo proprio paura a nessuno! Più tardi, nel bar, gli offriamo persino la birra.

In alto e in basso: il corteo. Al centro, a destra: la contro-manifestazione pro-war
E' sempre possibile ingrandire le foto cliccandoci sopra, anche per vederli nel viso, quelle facce di...bronzo!

Appunti sulle proteste al quarto anniversario, 1° parte

la fiaccolata di venerdì 16 Marzo.

Manifestare nel cuore dell’Impero è una bella sensazione. Soprattutto perché capisci che anche qui molta gente non vuole (più?) la guerra in Iraq.

Quattro ore in macchina dividono Pittsburgh da Washington DC. Venerdì nevicava, e sulla Turn Pike le spargisale te lo spargevano addosso, il sale, alterando la visibilità più della neve stessa. La conversazione con Enrico è stata ampia e piacevole.

La cattedrale di Washington era affollata da una moltitudine di cristiani per larghissima parte non cattolici, che cantavano e ascoltavano testimoni dall’Iraq, o leggevano i passi delle mamme dei soldati morti, o le ultime lettere dei loro figli. Sarebbe stata un buon brodo di coltura per quelli che da noi si chiamano catto-comunisti, tra cui alcuni miei buoni amici.

La fiaccolata è partita alle otto di sera, e, contro un vento gelido retro-invernale, in poco più di due ore ha coperto le 3 miglia e mezzo fino alla Casa Bianca, presidiata da pochi agenti in tenuta antisommossa. “We shall overcome”, soffuso e pacato, a più riprese accompagnava una leggera nevicata.

Joe G , un uomo tra i 60 e i 70 dal tipico aspetto di (non)catto-comunista (dalla barba bianca alla giacca a vento da montagna blu, capito il tipo?), era il contatto di Enrico. Quando ho chiesto a Joe se avrebbe partecipato alla manifestazione del giorno dopo, mi ha risposto candidamente che la moglie aveva in programma di farsi arrestare, quella sera, e che il giorno dopo l’avrebbe dovuta supportare mentre era dietro le sbarre. Wanda, all’ultimo momento, ci ha ripensato, e verso le tre di notte se ne è tornata a casa. Ma altri duecento, età media dei miei genitori, hanno placidamente violato la zona di sicurezza davanti alla White House, sono stati ammanettati e perquisiti a uno a uno, e caricati su autobus di linea fino al commissariato. Avevano ricevuto uno specifico corso per la disobbedienza civile, compresa lezione di diritto, e al mattino erano già a piede libero. Per gli altri, che non avessero fatto il corso, un volantino raccomandava di astenersi dall’arresto, please.

Dopo mezzanotte qualsiasi città americana è deserta, e W non fa eccezione, neanche di venerdì sera. Il nostro viaggio in subway verso il quartiere di Adams Morgan, alla ricerca di cibo, è stato un mezzo fiasco. Comunque, io ero con un panino dalla mattina, e a quell’ora qualche pizza slice in un buco con 20 libanesi al servizio e un solo avventore, a parte noi, è andato più che bene.

Verso l’una ci stendevamo sui divani di una scuola, e nè l’uomo il cui russare fa tremare la pareti né l’andirivieni di Wanda hanno disturbato il nostro sonno, dopo una lunga giornata.
PS: E' possibile cliccare sulle foto per ingrandirle...

Monday, March 19, 2007

Vito's anatomy

Mi stavo mentalmente preparando a scrivere del fine settmana passato a Washington DC e delle manifestazioni contro la guerra in Iraq cui ho partecipato...ma sono quelle cose che hai voglia di far sapere ma non veramente di raccontare, e il racconto diventerebbe una cronaca da due soldi. Lo farò quando mi verrà voglia.

Tornato a casa sotto una pioggia noiosa, dopo essermi cucinato una veloce pasta alla boscaiola per stasera, domani e i mesi a venire (l'ho buttata nella pentola a occhio), e dopo aver lavato il piatto e un paio di bicchieri arretrati, ho fatto un giro sull'email, spinto dall'abitudine.

Alcuni amici non si fanno sentire per mesi, e a volte questo ti fa sembrare veramente lontano. Ma basta che tu faccia un piccolo passo, ti accosti leggermente, e ti restituiscono qualcosa che non è nemmeno il credito dei mesi passati, è qualcosa di molto, molto di più. La lunga email di Vito, a cui avevo scritto due righe di auguri per l'onomastico, come si usa tra la gente del Sud, è stata l'ultima di un piccolo filone di epistole strappalacrime. Segue a breve quella dell'inafferrabile Moisè Cecconi, amico latitante ma che sa essere melodrammatico al punto giusto, quando vuole.

L'email di Vito l'ho letta proprio lì, sul tavolo della cucina, dopo aver cercato notizie della manifestazione di sabato nei TG italiani. Ed ho alternato attimi di commozione a grasse risate, specialmente nel vedermi riflesso in una celebre frase pronunciata ormai 10 anni fa, durante le lunghe serate sul libro e l'atlante di anatomia. Se non fosse che sono cose personali, e che gli autori potrebbero chiederne i diritti, incollerei queste email qui sul blog, che ognuna vale molto più dei miei post.

Sono cose che ti rimettono al mondo, perdiana, e davvero ti ricordano quanto valga la pena, quel piccolo passo.

Nei prossimi post il meme (come lo chiamano i blogger) che mi chiedi, Vito. Te lo devo.

Friday, March 02, 2007

Bus life

Quando alle otto di mattina , subito prima di entrare al lavoro, l’anziana conduttrice di colore ti saluta:” Have a nice day, sweet heart”, la giornata si mette subito bene. E’ la stessa che aspetta anche se e’ scattato il verde, quando ti vede sbucare di corsa da dietro la cantonata. Altri, invece, sono meno cortesi, non aprono la porta di dietro per farti scendere anche se nell’autobus c’e’ la calca e per arrivare a quella anteriore devi spalmarti su tutta la fila. E poi non te la mettono mica facile, da queste parti: si paga o si mostra la tessera al salire se da fuori citta’ si va in direzione di downtown, viceversa si paga all’uscita. E’ curioso, sara’ pure per una questione di traffico, pero’ crea sempre una certa confusione... e ti trovi pure quelli incazzati, che, se ti vedono dubitare, gridano in tono marziale: “Only when you get off!”. Quasi nessuno paga, ne’ gli studenti e i dipendenti dell’Universita’, ne’ gli anziani. Il che include i tre quarti della popolazione. Un dollaro e 75 la corsa, se ce l’hai precisi bene, senno’ lasci due. Ma gli autisti buoni, se non hai il cambio, ti fanno cenno di tirare dritto. Tipico e’ quello seduto in prima fila che dorme. Ce n’e’ sempre almeno uno, di solito afro-americano, di una certa eta’, che occupa due sedili. Forse e’ di serie. La testa che gli balla, un sacchetto del supermercato, il giubbotto consunto che si fonde con la fodera dei sedili, di un tessuto sdrucito rosa, con disegnati, una volta, giochi floreali.

Tuesday, February 13, 2007

Incredibboli

Di solito non riesco ad adeguarmi a pranzare durante i seminari. Mi sento a disagio a sbattere la forchetta o sgranocchiare qualcosa mentre qualcuno parla o presenta. Ma sto facendo un grosso sforzo per americanizzarmi.
Il colmo è che sono stato messo in mezzo da un gruppo di quattro ragazzotti giovani che si facevano beffe di me perchè mangiavo due fette di pane tipo il nostro, insomma pane quasi normale. Dice che il "pane bianco" abbia un sacco di carboidrati, e qui va di moda la dieta low carb...il terribile velenoso pane bianco!...dei quattro quello che aveva iniziato la discussione non era proprio francamente obeso, almeno!

Thursday, February 08, 2007

Mattonella mon amour

Ci sono cose a cui si è talmente abituati che si finiscono per trovare scontate. Anzi, talvolta si arriva persino a ritenerle sopravvalutate. Parlare di casa a proposito del territorio che ha visto nascere e crescere un figlio di calabrese e abruzzese con novia catalana che attualmente vive a Pittsburgh sembra un’iperbole. Quindi dirò piuttosto che non ho mai capito perché dalla mia “zona d’origine”, quella parte della provincia di Firenze che tocca quella di Prato, la gente che viaggia porta quasi sempre in dono i cosiddetti “cantuccini” o “biscotti di Prato”, dolcetti secchi con pezzetti di mandorla incastonati. I classici sono quelli della pasticceria “Antonio Mattei” detto Mattonella, dal 1858. Di fatto i “biscotti di Prato”, seppure di Mattonella, non mi hanno mai emozionato. Da piccolo “non preferivo” le mandorle, e cercavo sempre di pescare dal classico sacchetto azzurro i veri e propri cantucci, quei biscotti derivati da gli angoletti del filoncino di pasta tostato al forno, perché la probabilità di trovarci una mandorla era molto bassa, e di scansare gli altri biscotti, tagliati dal corpo dello stesso filoncino. Mi sono sempre chiesto se questa affezione per i biscotti di Prato non fosse perché quella zona ha una tradizione culinaria povera, confronto a molte altre d’Italia. Poi, già grandicello, dopo aver scoperto che in Catalunya ci sono dei biscotti similissimi, i “carquiñolis”, prodotti dai monaci di non ricordo dove dal 1500, la mia indifferenza verso i cantuccini è diventata totale. Oltretutto dovevo a quel punto avvertire tutti gli amici che visitavano Catalunya di ripiegare su un altro dono.

Si dice sempre che la lontananza rafforza i legami. A Natale avevo chiesto a mia mamma di portarmi un sacchetto di biscotti di Prato da trasportare qui negli US, ma solo perché una collega italiana me li aveva espressamente richiesti, assieme ad una “boccia” di vinsanto. La morte dei cantuccini è effettivamente per affogamento, quale fine più dolce che soffocare nel vinsanto toscano? Al rientro dalle vacanze ho disfatto la valigia liberandola della sezione alimentare, che la occupava quasi interamente. E l’azzurro sacchetto è finito sopra la scrivania della mia camera. Era inverno, cominciava il freddo, le lunghe serate col mio coinquilino tedesco asociale…che potevo fare, vostro onore? Galeotto fu il sacchetto…Insomma me li sono mangiati tutti, e non solo nel vino, ma li ho profanati in tutte le salse, da soli, nel caffè, persino nello yogurt. Con mandorle e tutto. Macchè carquiñolis! Ho sentito forse per la prima volta tutto il sapore della provincia fiorentina che, tra fabbriche di stracci, fossi e brulle colline, mi accolse fanciullo.

Wednesday, February 07, 2007

Swimming in the snow

Non ho fumato, giuro! Ho sperimentato la piscina...senza occhialini. Volevo anche comprare un costume a slippino, in ricordo dell'infanzia. Ma costava 26 dollari. Ho ripiegato su un pantaloncino da 6$. Dopo 4 vasche credevo di morire. E' che sono allenato a un diverso tipo di movimento: non mi riferisco alla distesa libera o alla ginnastica della mascella, ma alla nobile arte del pallone (o soccer)! Comunque ho persistito grazie alla caparbietà, che è forse l'unica qualità che mi rimane, e che ha fatto si che non cedessi nemmeno all'umiliazione dell'americano che faceva almeno 2 vasche nel tempo in cui io arrivavo alla fine di una.

Monday, February 05, 2007

Zero Fahrenheit

"Finalmente" ha smesso di nevicare, dopo almeno 10 giorni di seguito. Perchè la temperatura è scesa vertiginosamente. L'altro ieri -12/-15, ieri -19. Un cazzo di freddo. Anche i guanti cominciano a essere insufficienti. I fiumi sono semighiacciati (foto sotto, Pittsburgh da Mt. Washington).

La stagione di football è finita, sembra fatto apposta perchè la gente parli solo del freddo. Non ci si saluta nemmeno più, tutti si raccomandano solo "Stay warm"!

Tuesday, January 30, 2007

Nuove droghe

"River man", di Brad Mehldau...pain relief...come una medicina! Dovrebbero venderla in farmacia, non da Champions Vynil. Fara' male abusarne?