Thursday, February 08, 2007

Mattonella mon amour

Ci sono cose a cui si è talmente abituati che si finiscono per trovare scontate. Anzi, talvolta si arriva persino a ritenerle sopravvalutate. Parlare di casa a proposito del territorio che ha visto nascere e crescere un figlio di calabrese e abruzzese con novia catalana che attualmente vive a Pittsburgh sembra un’iperbole. Quindi dirò piuttosto che non ho mai capito perché dalla mia “zona d’origine”, quella parte della provincia di Firenze che tocca quella di Prato, la gente che viaggia porta quasi sempre in dono i cosiddetti “cantuccini” o “biscotti di Prato”, dolcetti secchi con pezzetti di mandorla incastonati. I classici sono quelli della pasticceria “Antonio Mattei” detto Mattonella, dal 1858. Di fatto i “biscotti di Prato”, seppure di Mattonella, non mi hanno mai emozionato. Da piccolo “non preferivo” le mandorle, e cercavo sempre di pescare dal classico sacchetto azzurro i veri e propri cantucci, quei biscotti derivati da gli angoletti del filoncino di pasta tostato al forno, perché la probabilità di trovarci una mandorla era molto bassa, e di scansare gli altri biscotti, tagliati dal corpo dello stesso filoncino. Mi sono sempre chiesto se questa affezione per i biscotti di Prato non fosse perché quella zona ha una tradizione culinaria povera, confronto a molte altre d’Italia. Poi, già grandicello, dopo aver scoperto che in Catalunya ci sono dei biscotti similissimi, i “carquiñolis”, prodotti dai monaci di non ricordo dove dal 1500, la mia indifferenza verso i cantuccini è diventata totale. Oltretutto dovevo a quel punto avvertire tutti gli amici che visitavano Catalunya di ripiegare su un altro dono.

Si dice sempre che la lontananza rafforza i legami. A Natale avevo chiesto a mia mamma di portarmi un sacchetto di biscotti di Prato da trasportare qui negli US, ma solo perché una collega italiana me li aveva espressamente richiesti, assieme ad una “boccia” di vinsanto. La morte dei cantuccini è effettivamente per affogamento, quale fine più dolce che soffocare nel vinsanto toscano? Al rientro dalle vacanze ho disfatto la valigia liberandola della sezione alimentare, che la occupava quasi interamente. E l’azzurro sacchetto è finito sopra la scrivania della mia camera. Era inverno, cominciava il freddo, le lunghe serate col mio coinquilino tedesco asociale…che potevo fare, vostro onore? Galeotto fu il sacchetto…Insomma me li sono mangiati tutti, e non solo nel vino, ma li ho profanati in tutte le salse, da soli, nel caffè, persino nello yogurt. Con mandorle e tutto. Macchè carquiñolis! Ho sentito forse per la prima volta tutto il sapore della provincia fiorentina che, tra fabbriche di stracci, fossi e brulle colline, mi accolse fanciullo.

8 comments:

Unknown said...

Ho avuto un'esperienza simile quando ho portato a Washington una scatola di Baicoli il mese scorso. L'ho portata al lavoro, ma quando i Baicoli sono stati esposti alle attenzioni sgarbate della gente di Baltimora, io li ho assaggiati, e riassaggiati, e riassaggiati. Saro' andata in sala pranzo 10 volte a ritrovare il sapore di quel biscotto cosi' semplice, cosi' strano, cosi' di casa.

Anonymous said...

ma perche' il mio nome viene fuori dead? Sono Dead Chef!

herdakat said...

Sono commosso. E la mia commozione per la bellezza del post non si riduce di uno iota sapendo che anche in Provenza hanno gli stessi stupidi, marmorei, sciapi, biscottini.

Marco Inzitari said...

Dead, suppongo che siano esperienze comuni degli emigranti, seppure di breve corso e piu' "di passo" come me. Certo il solo "dead" fa un po' truce, ma ti avevo indovinato lo stesso.

Herr, grazie della bella e letteraria risposta. Per quanto riguarda la provincia fiorentina, non avevo alcuna intenzione di mancare di rispetto a quella pratese, che come sai ho visto nascere durante gli anni del liceo. Ma sai anche che effettivamente provengo dalla provincia fiorentina, seppur tangente Prato, ed e' un fatto che "le genti" di quelle parti rechino pratesi doni, quindi onore alla tua citta'. Non c'e' dubbio che il Manzoni i panni non li abbia lavati in nessuno dei "miei" torrenti, ne' la Marina ne' il Garille. Pero' questa disputa sui natali dell'italiano la farei perdere a entrambi, sia fiorentini che pratesi ("io andiedi" e sopratutto "il zio" mi fanno sempre venire l'orticaria, mentre sono affezionato a "'gnorante" per dire dispettoso etc!). Infine, la cucina della zona e' comunque ricca, come infondo lo e' tutta la cucina regionale italiana, ma forse rispetto ad alcune altre zone - Piemonte, Friuli, sicuramente all'Emilia, al Napoletano e alla Sicilia - e' meno rinomata.

Fra, perche' non fare un censimento, oltre che sugli spropositi della lingua toscana contemporanea, anche sulle varianti internazionali del cantuccino (con degustazione inclusa)?

Grazie a tutti, e a presto.

Anonymous said...

Ciao herrnanni, come stai?
E' sempre duro il pane dell'esilio. Mattonella --> mattone --> casa. Il lavoro faticoso di mandar giù e digerire una lontananza.

Marco Inzitari said...

Hernanni,
ma che fine hai fatto? Non ti vedo piu' su skype...non e' che hai trovato lavoro?

Potresti anche scrivere quelcosa in tedesco per Ulysses...

herdakat said...

Avevo notato anch'io quella che mi sembrava una disgrafia... insomma, come si chiamano i biscottini, en Català, si us plau!

Marco Inzitari said...

Sorry, nella fretta del post avevo cercato "carquinolis" su google, e mi ha dato la "gn" (ñ)...giustamente si scrive "carquinyolis" (se l'ho cappellata anche stavolta sono veramente il peggio). Ho cercato qualche informazione, ma l'origine di questi biscotti mi resta oscura. Pare che siano stati elaborati inizialmente a Caldes de Montbui, e che risalgano a circa 150 anni fa, come più o meno quelli di Mattonella (avevo un po' esagerato sul 1500)...ma leggo che pure sono tipici quelli di Espluga i di Montalt. C'è anche una variante apocrifa romana detta "sale e pepe" perchè conterrebbe mandorle e cioccolata. Ma tutti abbiamo sempre saputo che la cioccolata è una volgare contaminazione moderna in questo tipo di biscotti dall'origine probabilmente povera.