Tuesday, September 12, 2006

La Gerontocrazia - prima nota a margine

La prima di alcune riflessioni abbozzate su degli spigoli del nostro Paese che da lontano mi sembra di mettere più in luce. Probabilmente un po’ superficiali, sicuramente non risolutive. Di stampo, direi, riformista. Senza che riformista mi ci senta, peraltro, ma certe idee, da quest’altra parte, ti scappano! Sarebbe interessante sapere che ne pensate. Sperando di non essere plumbeo.

Sottotitolo: Totò, Peppino e il Pachiderma

Dove sono finiti i luoghi comuni? Dov’e’ la proverbiale arte di arrangiarsi degli italiani, di cui tutti ci vantiamo? La risposta piu’ scontata e’ che probabilmente si e’ persa con la necessita’. La funzione, in parte, si sviluppa con l’uso. Negli ultimi decenni il benessere della societa’ e’ stato costante, e fino ad oggi nessuno ha sentito veramente, sulla propria pelle, un cambiamento del vento.

Quello che si nota da quest’osservatorio, e’ che gli americani, almeno da un punto di vista lavorativo, ma forse anche nella vita privata, svolgono una continua ginnastica all’elasticita’ (con aspetti positivi e negativi, ovviamente): per quanto possano scegliere materie che si trovano anche nella propria citta’, vanno al College altrove, e spesso cambiano residenza anche in seguito. Da noi succedeva molti anni fa, soprattutto per chi, dal sud, doveva spostarsi per studiare o lavorare. Oggi tendiamo ad essere incanalati, a rimanere aggrappati allo stesso luogo, nascere, vivere e morire, e tutto cio’ non sembra altro che normale. Forse sta diventando davvero l’unica possibilita’: la struttura del Paese non si e’ mai modernizzata, e la situazione economica e’ cambiata (basti pensare alla carenza degli alloggi per studenti universitari, primo e facile esempio, cui si somma la speculazione degli affitti). Ma anche chi potrebbe, non si sposta. Questa consuetudine alla normalita’ non fa altro che inaridire l’iniziativa, e porta ad accettare tutto cio’ che viene imposto, a tutti i livelli, proprio perche’ non si hanno esperienze diverse, e non si e’ abituati a concepire altre soluzioni né ad adattarsi, nel senso vero del termine, che non vuol dire “conformarsi”! Non ci si muove, ne’ si protesta. Ci sentiamo sconfitti? Parte di un sistema in cui niente sembra comunque poter cambiare?

E quando il benessere in cui siamo cresciuti ci franera’ sotto i piedi, come quelli della mia generazione cominciano a percepire (contratti a ore senza garanzie, e non certo pagati come gli americani!), e come i nostri figli toccheranno con mano, forse rimarremo come gli abitanti di Pompei ed Ercolano...O forse solo dopo un’implosione saremo costretti a rimetterci in moto.

Ma da un pezzo, mi sembra, non siamo piu’ olimpionici nell’arrangiarsi.


7 comments:

Marco Inzitari said...

Herdakat, Beltra etc, ha commentato questo post nel suo blog, a cui nella mia sezione "Friend Blogs" c'e' un link permanenete (Geometriaetica). In sostanza, dissente, perche' il mettere radici e' un valore, e aiuta a conoscere se stessi, e lo spostarsi e' un fuggire da qualcosa (in estrema sintesi).
Si e no: avere una rete sociale stabile e' una cosa positiva, e gli americani non ce l'hanno. Ma il mio non voleva essere un elogio degli americani, ma uno spunto, da certi comportamenti, per discuterne altri nostri, che e' quello che mi interessa. Quindi: la mia critica e' alla mancanza di esperienze diverse, in un altro contesto geografico, e, di conseguenza anche diverse esperienze di vita, contatto con altre realta'. Certo che, in principio, mi riferisco ad esperienze temporanee, non ad uno sradicamento. Non trovi che questo tipo di cose possa accrescere la capacita' di giudizio, e stimolare l'iniziativa, far aguzzare l'ingegno, migliorare la capacita' di adattamento alle situazioni? E' ovvio che tutto cio' e' anche determinato dalla contingenza, ma penso che un Paese moderno dovrebbe favorire le possibilita' di movimento in giovane eta', anche per chi non puo'.

herdakat said...

Vedo che in fondo non siamo troppo lontani come posizioni. In questo discorso è importante distinguere tra allontanamenti volontari e circoscritti nel tempo, che sono sempre e senz'altro positivi, e allontanamenti permanenti che, sia quando sono 'coatti' come nel caso dell'emigrazione che quando sono più o meno liberi, come nel caso dei facili spostamenti americani, sono alla fine meno arricchenti. Quando ho saputo che i fondi per i programmi Erasmus Socrate negli ultimi anni sono diminuiti (è una notizia che ho sentito, non ne sono certissimo) mi sono cascate le braccia. Io, entusiasta dell'esperienza catalana, avrei reso obbligatorio un periodo di almeno sei mesi in un altro paese europeo, nel curriculum di ogni studente universitario del continente; credo infatti che questo sarebe uno dei modo migliori per 'fatta l'Europa, fare gli europei'.

herdakat said...

(Ho verificato la notizia, non e' vero che i finanziamenti sono calati. Rimane il fatto che purtroppo il socrates non è obbligatorio ;-) )

Marco Inzitari said...

Credo che una delle ragioni della mobilita' degli amricani (almeno di quelli appartenenti alla middle class, che comunque se lo possono permettere), e' nell'origine stessa degli USA come sono ora, e cioe' nel fatto che i suoi abitanti sono sostanzialmente discendenti neanche troppo lontani di migranti, ed il senso di appartenenza alla terra e' molto labile (per questo lo hanno pompato negli anni, con campagne politico-mediatiche, tipo bandierone e "united we stand" vari etc, cosa che sull'americano medio ha fatto notevole presa).

Marco Inzitari said...

Fara,

le ultime poche righe del post sono state come farli insieme, quei chilometri...come scoprire dietro una curva qualcosa che sai che c'e' ma aspetti trepidante di vedere.

Marco Inzitari said...

Comunque siete troppo riformisti!!!
Nessuno che abbia scritto "Basta con queste str...il sistema non si riforma, viva la Riv.......!!!"

M.

herdakat said...

Vero che siamo poco rivoluzionari, sigh, e bello quanto scritto da Fara. Il fatto è questa storia delle radici io invece non ce l'ho mai avuta. Sono cresciuto in una città estranea alla mia famiglia e non ho avuto sufficienti rapporti con quella padania che a volte sento mia. Cerco di costruirmi dei punti di riferimento in questa città che però non fa nulla per venirmi incontro. Da un lato si amputa e si deforma, dall'altro a queste potature non corrisponde un rifiorire salvifico. E' sempre più estranea a se stessa mentre io vorrei invece poterla riconoscere e fare mia.